Parco di San Rossore

Si torna a parlare di Parco, finalmente. In particolare del futuro della Tenuta di San Rossore, con i suoi numerosi immobili ora abbandonati. Ieri il Parco ha fatto sapere di aver affidato a uno studio torinese di professionisti il compito di disegnare un progetto. Sarebbe interessante aprire questa riflessione alla città, dato che alcune domande sono emerse a gran voce in queste settimane. A me preoccupano le parole del Sindaco Michele Conti, che la scorsa settimana ha definito il Parco di San Rossore un “corpo estraneo”. È un’immagine che mi fa venire in mente un insetto nell’occhio o un oggetto in pancia. Secondo me è un’immagine dettata dalla paura. Il sindaco e la sua giunta in realtà hanno paura del Parco perché di fatto non lo conoscono e non sanno immaginare un futuro verde. Non stupisce che per loro il Parco sia estraneo.

A volte non ci si pensa ma basta aprire Google map per vedere quanto il Parco e la città siano un unico territorio. È un bene che abbiano regole diverse, perché quando è stato pensato e creato il Parco, 40 anni fa, l’obiettivo era proprio conservare il polmone verde della città, proteggerlo per il bene di tutti. Oggi ancora più di ieri quella logica è giusta. Per pensare al futuro bisogna affidarsi all’unica richiesta attuale che davvero conta: quella di un pianeta pulito. Quindi bisogna osare, abbandonare vecchi schemi e agire.

Dobbiamo lasciare il mondo più pulito di come lo abbiamo trovato. E questo vale anche per il Parco. Ci sono già le idee – penso ai tanti percorsi partecipativi che sono stati fatti in questi anni – e le priorità. L’agricoltura sarà una sfida dei prossimi anni e bisogna farsi trovare pronti. Le associazioni ambientaliste da tempo chiedono il ripristino degli ambienti naturali che hanno subito modifiche radicali, come le bellissime dune che sono una unicità del nostro litorale. Ma c’è anche l’esigenza di un Parco per tutti, accessibile, a partire dagli stabilimenti balneari. Trovo insopportabile la contraddizione per cui si tollerano migliaia di metri quadri di parcheggio asfaltato in un’area protetta ma si fatica a installare una pedana per l’ingresso di persone a ridotta mobilità, perché la burocrazia dice tanti “no”. Dobbiamo sederci a un tavolo e ripensare questa logica.

A proposito di mobilità, nei nostri luoghi naturali sarebbe bello arrivarci a impatto zero, e non dovrebbe essere un privilegio di pochi. In bici, in autobus o dal fiume navigabile, le alternative ci sono e renderebbero davvero residuale l’uso dell’auto, per le persone per cui è davvero necessaria. Al Parco ci sono già sentieri curati e accessibili, come il percorso dedicato a Sabrina Bulleri, che possono essere valorizzati. Altri che invece necessitano di manutenzione, anche della cartellonistica. Il Parco dovrebbe essere anche un’istituzione aperta, che risponde alle richieste della comunità e non si nasconde dietro il dito della tutela. Lo scopo principale del Parco è la protezione di un’area naturale: è giusto che sia così. Ma questo non può diventare una scusa per non ascoltare o non dialogare.

Da una parte ci sono attività di manutenzione e di monitoraggio che spesso vengono caricate sulle spalle delle associazioni ambientaliste perché il personale non è mai abbastanza. Dall’altra ci sono tanti giovani che si sono formati nelle nostre eccellenti università, che spendono tempo e energie sui temi ambientali e vorrebbero farne un lavoro, un progetto di vita. Il Parco ha bisogno di loro e loro hanno bisogno del Parco. Facciamo che questo incontro si avveri. Credo si possa fare di più e credo che anche la Regione dovrebbe fare di più per quest’area, anzitutto per proteggerla dagli attacchi di un’amministrazione che un simile tesoro non lo merita proprio.

Ufficio Stampa Maria Scognamiglio
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